Mario Francese che da anni ha orientato il suo interesse verso la ceramica nei primi del decennio ottanta frequenta l’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove si iscrive al corso di pittura tenuto da Armando De Stefano.
La pittura è il suo primario interesse, anche se non rinuncia al giornaliero esercizio del disegno sarà proprio questo ad avvicinarlo 10 anni fa, alla ceramica.
dapprima il suo interesse è stato per il decoro inteso come trasporto estremo della pittura: è una scelta condotta accelerando il dettato di una composizione sovraccarica, attingendo ad un impianto di matrice barocca che frammenta i piani, scompone la figurazione per affidarla alla serpentina linea che sostiene, come un invisibile architettura, la forma dei vasi o fa esplodere i piani di piccoli teatrini, a mo’ di acquasantiere.
“Mi attraevano le immagini- confida Francese- piene di linee, di spirali, avvolte su se stesse, che trascinano le figure in una sorta di movimento che anima la superficie degli oggetti”
Su questa traccia nasce una serie di opere, di oggetti che il giovane artista non firma, anzi affida all’anonimato della produzione.
Il passo verso una rinnovata “idea” di pittura, proposta cioè quale vitale anima di un nuovo decoro, lo fanno registrare le opere realizzate in questi ultimi anni.
Sono grandi piastrelle in buona parte conservate nella prima sala della collezione di Romolo Apicella, dove il testo narrativo racconta le “storie” di donne sorprese nella vita quotidiana un velo bianco, quasi una livida luce rococò, ammanta i corpi, le vesti; schiarisce il dettato cromatico, riducendo notevolmente l’acceso trionfo dei colori vietresi.
Le donne, dice ancora Mario Francese, sono tutto il nostro insistente sogno, ma anche le figure che scandiscono il tempo. Sono la chiave di quella spirale nella quale perdiamo il nostro orizzonte.
La ceramica conclude Francese – diviene dunque, metafora del desiderio di creare, di dar vita con le mani ad un corpo di luce.
Massimo Bignardi